UCIIMagazine – Gaetano Forni


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UCIIMagazine – # 27 Ottobre 2003 – p.2

Bizzarrie di uno storico miscredente
[
Originale ]

di GAETANO FORNI

Anche per un non credente, dalla lettura dei Vangeli emerge ben caratterizzata e vigorosa la personalità di Gesù. Molto chiaro il Suo messaggio, le Sue vicende, l’ambiente in cui è vissuto e operava. Certo gli evangelisti non erano degli storiografi, ma solo degli estensori di appunti-promemoria relativi a ciò che, nei primi anni dopo la morte di Gesù, si trasmetteva oralmente. Da ciò, ad esempio, la mancanza di precisi riferimenti cronologici. Tuttavia tali sfumature di cornice non intaccano un sostanzialmente preciso contenuto, specie sotto il profilo dottrinale.

Ma per l’autore invece di War Jesus Caesar? (Era Cesare Gesù? Monaco 1999) Francesco Carotta non è così. I Vangeli non costituiscono altro che il racconto della vita di Giulio Cesare durante la guerra civile per la conquista dello Stato, elaborato dalla fanatica devozione dei suoi veterani e dei loro rampolli in Palestina e regioni vicine.

Come Carotta documenta il suo assunto? Innanzitutto ricorda che il popolo modesto, da cui proveniva la massa dei legionari, adorava Cesare, per cui già in vita, e soprattutto dopo morte, egli venne considerato un dio: il divo Giulio (soter – salvatore – veniva specificato sulle statue, così come Gesù in ebraico significa salvatore). Poi reperisce un’infinità di parallelismi, similitudini, coincidenze. Dalle gesta relative alla conquista del potere, nel caso di Cesare, all’esordio nella vita pubblica, nel caso di Gesù. Entrambi scendono da Nord: Cesare dalla Gallia, Gesù dalla Galilea. Entrambi iniziano attraversando un fiume: rispettivamente il Rubicone e il Giordano. Agli episodi successivi: il contrasto con i rispettivi consigli supremi: il Senato, nel caso di Cesare, il Sinedrio nel caso di Gesù. Entrambi discendono da antenati illustrissimi: Enea e Davide, ma prediligono il popolo modesto. Quando Cesare viene ucciso, vi furono tumulti violentissimi e quando Antonio mostrò al popolo il cadavere di Giulio Cesare dilaniato dalle pugnalate, issato, con le braccia aperte, su un supporto a forma di croce, vi fu una caccia furibonda ai suoi assassini. Entrambi sono accusati di farsi re: dei Romani Cesare, dei Giudei Gesù. Entrambi entrarono trionfanti nella propria capitale, ma dopo un breve lasso di tempo per Gesù, più lungo per Cesare, vennero uccisi: il 15 marzo Cesare, il 15 del mese di Nisan, all’incirca corrispondente, Gesù. Carotta aggiunge che nelle statue e nei busti Cesare porta una corona di gramigna, le cui foglie aguzze assomigliano a lunghe spine.

Il colpo di grazia a Gesù, cioè la lanciata nel costato, venne inferta da Longino, così come il colpo di grazia a Cesare fu inferto da Cassio Longino. Ambedue ebbero incontri notturni degni di rilievo: Cesare con Nicomede di Bitinia, Gesù con Nicodemo di Betania. Mario, lo zio cui Cesare era molto affezionato, frequentava una certa Marta, così come Gesù, frequentando Lazzaro, incontrava
le sue sorelle Marta e Maria. Vi sono episodi in cui sia Gesù che Cesare calmano il mare (o il lago) in burrasca.

Per quel che riguarda la dottrina, egli ricorda che Cicerone menziona un detto di Cesare: Questo sia il nuovo modo di vincere, armandoci di misericordia e di liberalità, che si può accostare a quello di Gesù: Amate i vostri nemici. E’ tale programma di misericordia che portò entrambi alla morte.

Carotta alla fine riprende l’analisi del contesto in cui sarebbe sorta l’identificazione di Cesare con Gesù: sottolinea la presenza, nel Vangelo di Marco, il più antico dei sinottici, di frequenti latinismi, superiori in numero agli aramaismi, per cui è stata persino lanciata l’ipotesi che in origine esso fosse stato scritto in latino e solo successivamente tradotto in greco, la lingua internazionale nell’area del Mediterraneo orientale. Ricorda infine che le città più frequentate da San Paolo, ebreo sì, ma cittadino romano, erano sedi di fiorenti colonie romane.

Quali le nostre conclusioni? Il discorso del Carotta è senza dubbio folle. Folle anche soltanto il concepirlo. Ciò malgrado i numerosi effettivi parallelismi, noi abbiamo riportato quelli meno forzati. Certo, selezionando innumerevoli dati relativi alla vita di due persone, si possono sempre trovare delle analogie. Sicuramente quelle evidenziate dal Carotta tra Cesare e Gesù presentano un carattere particolare. Certo anche in colonie di veterani convertiti al Cristianesimo, in cui tuttavia il ricordo di Cesare si permeava ancora di fanatismo, era particolarmente forte la tentazione di reperire nella figura del Cristo aspetti che potevano ricordare il divo Cesare. Poteva accadere persino, trattando aspetti né etici né teologici, di storpiare inconsciamente o addirittura inventare dei nomi, come forse è il caso di Longino, che appare negli apocrifi, scambiare delle date, in modo d’accentuare accostamenti ed analogie. Mai tuttavia questi rampolli cristiani dei veterani di Cesare si permisero d’identificarlo con Gesù. Ciò anche perché ai veterani era noto che Cesare era stato un dissoluto, tanto che il suo figlio adottivo Ottaviano, quando divenne imperatore, ne fece ritirare dalle biblioteche le opere, in quanto indecenti. Canfora, nella sua recente (1999) biografia di Cesare, documenta come, durante il primo consolato (59 a.C.) rubò dal Campidoglio 3000 libbre d’oro. Più tardi, nel 49 a.C., asportò dall’erario 45.000 lingotti d’oro e 30 milioni di sesterzi. Identificare poi la clementia Caesaris con l’amore del prossimo predicato da Cristo è una grande sciocchezza, quando si ricorda che, solo durante la conquista delle Gallie, come scrive Plinio (Nat. Hist. VII 91-99) vennero massacrati un milione e duecentomila nemici. Infine è evidente che concezioni evangeliche come quella del Discorso della Montagna e quella di Dio Padre sono mille miglia lontane dal modo di pensare e di agire cesariano.

Non si può negare tuttavia che la pubblicazione del Carotta, con i suoi numerosi dati e riferimenti all’epoca del trapasso dello Stato Romano dalla repubblica all’impero costituisca un utile approfondimento, in particolare per gli insegnanti di storia.

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NOTA BENE:

Mai tuttavia questi rampolli cristiani dei veterani di Cesare si permisero d’identificarlo con Gesù.
E come avrebbero potuto farlo, Gesù essendo nato (a quel che dicono) 100 anni dopo Cesare? Caso mai avrebbero fatto il contrario.

Ciò anche perché ai veterani era noto che Cesare era stato un dissoluto.
Di dissolutezza venne accusato anche Gesù, per esempio di frequentare pubblicani e prostitute, dalla quale accusa non si è mai difeso, aggiungendo addirittura che non era venuto per i giusti ma per i peccatori.

Canfora, nella sua recente (1999) biografia di Cesare, documenta come, durante il primo consolato (59 a.C.) rubò dal Campidoglio 3000 libbre d’oro.
E Gesù? Accusato di dire che bisognava pagare il tributo a Roma, prendendo una moneta con l'effige di Cesare, non rispose forse di dare a Cesare ciò che era di Cesare? Se dunque per Gesù tutte le monete erano di Cesare, come si può dire che Cesare prendendo l'oro dall'erario per battere quelle monete l'avesse rubato? Non avrebbe dovuto Gesù, se avesse pensato come il nostro, rispondere: "Vedete, c'è sì l'immagine di Cesare sopra, ma siccome lui l'oro della moneta l'ha rubato, tenetevela, e non pagate le tasse!"?

Identificare poi la clementia Caesaris con l’amore del prossimo predicato da Cristo è una grande sciocchezza, quando si ricorda che, solo durante la conquista delle Gallie, come scrive Plinio (Nat. Hist. VII 91-99) vennero massacrati un milione e duecentomila nemici.
Qui si confondono i nemici morti in battaglia con l'infierire sui vinti, come fece Sulla per esempio colle proscrizioni – cosa che Cesare per primo e forse ultimo nella storia non fece, perdonando invece ai nemici, anche perché gli costò la vita, tanto che persino i suoi seguaci e successori ripugnarono a seguirne l'esempio – e si fa finta di credere che Gesù sia stato un pacifista, mentre però i suoi sacerdoti ancor oggi continuano a benedire gli eserciti di tutte le parti. Sciocchi? Probabilmente fu sciocco anche Gesù quando disse "Non sono venuto a portare la pace, ma la spada" (Mt 10:34-36), sciocco a scacciare i mercanti dal tempio colla frusta, sciocco a decretare il giudizio su intere città: "Guai a te, Corazim! Guai a te Betsaida! ... nel giorno del giudizio la sorte di Tiro e Sidone sarà più tollerabile della vostra" (Mt. 11.21-22), sciocco a profetizzare l'inferno a scribi e Farisei: "Serpenti, razza di vipere, come scamperete al giudizio della geenna?" (Mt. 23:33).

Infine è evidente che concezioni evangeliche come quella del Discorso della Montagna e quella di Dio Padre sono mille miglia lontane dal modo di pensare e di agire cesariano.
Questo lo può dire solo un ignaro del modo di agire e di pensare cesariano. Se non vuole ascoltare Appiano, Plutarco, Svetonio, Cassio Dione e compagnia bella, i quali tutti lodano e si stupiscono della proverbiale clementia Caesaris, si rilegga almeno i padri della Chiesa, per esempio Orosio Hist. 6.17.1: Caesar Romam rediit: ubi dum Reipublicae statum contra exempla maiorum clementer instaurat, auctoribus Bruto et Cassio, conscio etiam plurimo senatu, in curia viginti et tribus vulneribus confossus interiit. Il quale fa eco a Cesare stesso, che perdonò ai suoi nemici dicendo ai senatori romani:
Cosicchè, Padri, manteniamoci uniti con fiducia dimenticando tutto ciò che è successo come se avesse avuto luogo per disegno divino ed iniziamo ad amarci l'un l'altro senza sospetti, come nuovi cittadini, perché mi trattiate come un padre e godiate della mia cura e della mia protezione senza temere nulla di spiacente, ed io mi preoccupi di voi come dei miei figli, desiderando che tutti i vostri atti siano sempre migliori, sopportando per forza le debolezze umane, premiando i buoni con gli onori dovuti e correggendo gli altri per quanto sia possibile. Cassio Dione HR 43.17.4-5. È già il Padre Nostro, con al centro questo comandamento: Amiamoci l'un l'altro! – la stessa frase la ritroviamo nella bocca di Gesù (Giovanni 13:34, Luca 6:35), e sulle facciate delle chiese greche: agapàte allêlous!
Il nostro invece sembra ignorare ciò che tutti sanno, e parla come se fosse stato Cesare ad uccidere i suoi nemici, e non costoro Cesare, malgrado egli li avesse perdonati. Nemmeno Cicerone, che pur lodò i suoi assassini, negò la clemenza di Cesare: illum interfecerunt a quo erant conservati – «uccisero colui dal quale erano stati salvati» (Phil. 2.5). Lo fa invece un cristiano, pur recitando egli stesso il Venerdì Santo con gran fervore gli improperi, che esprimono esattamente lo stesso concetto: Popule meus, quid feci tibi? Aut in quo contristavi te? Responde mihi. Quia eduxi te de terra Aegypti: parasti crucem salvatori tuo.



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